Autore: Alberto Cossu – 27/06/2025
DAZI STRUMENTO GEOPOLITICO: DAL COMMERCIO ALLA COERCIZIONE STRATEGICA
Alberto Cossu – Vision & Global Trends
I dazi doganali sono sempre stati una leva fondamentale della politica economica nazionale. Nati come strumenti di protezione delle industrie locali, di correzione degli squilibri commerciali e di generazione di entrate fiscali, essi hanno accompagnato la formazione degli Stati moderni e l’emergere del capitalismo industriale. Tuttavia, nel XXI secolo, la loro funzione si è trasformata radicalmente. Sempre più spesso, i dazi non vengono applicati per ragioni strettamente economiche, ma diventano strumenti di pressione geopolitica, usati per influenzare il comportamento politico di altri Stati. In questo senso, i dazi stanno assumendo il ruolo di vere e proprie sanzioni mirate, adottate per costringere un Paese ad allinearsi agli interessi di un altro.
Questa trasformazione riflette una più ampia tendenza alla geo-economicizzazione delle relazioni internazionali, dove il potere non si esercita solo con la forza militare o diplomatica, ma anche attraverso strumenti economici strategici. In questo saggio analizzeremo questo passaggio, con particolare attenzione al caso delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea, un esempio paradigmatico di come anche tra alleati i dazi possano diventare terreno di scontro.
Dazi e logiche economiche: dalle origini alla liberalizzazione
Nel XIX secolo, pensatori come Friedrich List sostennero l’uso dei dazi come elemento essenziale per lo sviluppo economico. Secondo questa visione, le industrie emergenti dovevano essere protette dalla concorrenza internazionale fino al raggiungimento di una sufficiente maturità. Stati come gli Stati Uniti, la Germania e il Giappone adottarono ampiamente questa logica durante la loro industrializzazione.
Con la fine della Seconda guerra mondiale e la nascita del sistema multilaterale basato sul GATT (poi WTO), la tendenza si è invertita. I dazi furono progressivamente considerati ostacoli al commercio e alla crescita globale. L’idea dominante diventò quella del libero scambio, e le grandi potenze economiche cercarono di ridurre le barriere tariffarie attraverso negoziati multilaterali.
Ma anche in quell’epoca, l’uso politico dei dazi non era del tutto scomparso: erano ancora utilizzati come strumenti difensivi in caso di crisi settoriali, per motivi di sicurezza nazionale o come risposta a pratiche commerciali scorrette.
Il ritorno della geopolitica: la trasformazione dei dazi nel XXI secolo
Negli ultimi due decenni, il quadro internazionale è mutato radicalmente. La crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina, l’indebolimento del multilateralismo, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno contribuito a ridisegnare le priorità strategiche delle potenze economiche.
In questo contesto, i dazi sono stati rivalutati come strumenti di pressione geopolitica, con caratteristiche ben precise:
- coercizione mirata: si impongono dazi per colpire settori strategici di Paesi rivali o per forzare negoziati.
- strumento negoziale: i dazi diventano leve per ottenere concessioni in ambiti come tecnologia, difesa, energia o ambiente.
- segnale strategico: il loro uso comunica risolutezza e volontà di difendere gli interessi nazionali con ogni mezzo.
Questa logica è stata adottata con forza dagli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno utilizzato i dazi non solo contro i rivali, ma anche verso gli alleati.
La strategia tariffaria degli Stati Uniti
Con l’amministrazione Trump (2017–2021), gli Stati Uniti hanno rilanciato i dazi come strumenti centrali della politica estera ed economica. Le tariffe imposte su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi – giustificate con accuse di furto di proprietà intellettuale e pratiche commerciali scorrette – hanno segnato l’inizio di una nuova stagione di conflitto commerciale. Ma i dazi non hanno colpito solo la Cina: anche alleati storici come l’Unione Europea, il Canada e il Giappone sono stati coinvolti.
Trump ha invocato la “sicurezza nazionale” (Sezione 232) per giustificare tariffe su acciaio e alluminio, e ha minacciato misure simili anche per automobili europee. L’obiettivo era chiaro: ristrutturare le relazioni economiche globali secondo una logica di potere.
Contrariamente alle aspettative, l’amministrazione Biden ha mantenuto molte di queste misure. Pur adottando un tono più cooperativo, Biden ha integrato i dazi in una strategia industriale più ampia, centrata su resilienza, decoupling tecnologico e competitività industriale interna. Ad esempio, nel 2024 gli Stati Uniti hanno aumentato le tariffe su veicoli elettrici e pannelli solari cinesi non per proteggere l’occupazione, ma per limitare l’espansione tecnologica di Pechino.
Il caso USA-UE e della Cina
Il deterioramento delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea è un chiaro esempio di come i dazi stiano diventando strumenti di conflitto tra partner strategici.
Nel 2018, gli Stati Uniti hanno imposto dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio anche ai Paesi europei, con la giustificazione della sicurezza nazionale. L’Unione Europea ha risposto con dazi di ritorsione su prodotti americani iconici, tra cui whisky, motociclette Harley-Davidson e jeans Levi’s.
Nel 2021, l’amministrazione Biden ha sostituito i dazi con un sistema di quote, ma ha mantenuto la logica del controllo strategico delle importazioni, lasciando irrisolta la tensione di fondo.
L’approvazione dell’Inflation Reduction Act (IRA) nel 2022 ha aggiunto ulteriore benzina sul fuoco. La legge prevede sussidi e incentivi fiscali per la produzione interna di tecnologie verdi – auto elettriche, batterie, pannelli solari – ma esclude i prodotti europei se non realizzati negli Stati Uniti o con “Paesi amici”.
Per l’UE, si tratta di un chiaro esempio di protezionismo discriminatorio, contrario alle regole del WTO. Per Washington, è una misura strategica per contrastare la Cina e garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento.
La Commissione Europea ha avviato negoziati con Washington per ottenere uno status di “partner qualificato”, ma la disputa ha rafforzato la consapevolezza, in Europa, della necessità di una maggiore autonomia strategica.
Anche la Cina ha utilizzato le tariffe come strumento politico. Dopo che l’Australia ha chiesto un’indagine internazionale sull’origine del COVID-19, Pechino ha imposto dazi e restrizioni su prodotti australiani come vino, orzo, carbone e manzo. Ufficialmente motivati da “questioni sanitarie” o “normative tecniche”, questi provvedimenti sono stati ampiamente interpretati come una forma di punizione per una presa di posizione politica non gradita.
Rischi e implicazioni della nuova logica dei dazi
L’uso dei dazi come strumenti geopolitici ha importanti conseguenze sul sistema internazionale. Invocare continuamente la sicurezza nazionale o l’emergenza strategica per imporre dazi mina il ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il cui meccanismo di risoluzione delle controversie è già in crisi. Se tutti gli Stati si sentono legittimati ad agire unilateralmente, le regole comuni perdono valore. Si genera un erosione del sistema multilaterale.
L’emergere di politiche di friend-shoring e decoupling contribuisce alla frammentazione delle catene di approvvigionamento globali. Mentre ciò può aumentare la resilienza di alcune economie, aumenta i costi, riduce l’efficienza e crea nuove disuguaglianze tra Paesi integrati e Paesi esclusi.
I dazi contro partner strategici come l’UE rischiano di indebolire le alleanze occidentali, spingendo gli Stati colpiti a rispondere con misure proprie. La reazione europea all’IRA è un segnale di questa tendenza: l’UE ha iniziato a elaborare una propria politica industriale e a chiedere maggiore autonomia dai vincoli imposti da Washington.
Conclusione
Il ritorno dei dazi sulla scena internazionale segna una svolta epocale. Da strumenti puramente economici, essi sono diventati armi geopolitiche, usate per difendere interessi strategici, punire comportamenti ostili e negoziare vantaggi politici. Questo vale per i rapporti tra potenze rivali, come nel caso USA-Cina, ma anche per quelli tra alleati, come tra Stati Uniti e Unione Europea.
Nel nuovo scenario globale, dove la sicurezza economica è diventata una priorità politica, è probabile che i dazi continueranno a essere usati come strumenti di influenza e coercizione. Tuttavia, l’uso eccessivo o disordinato di queste misure può generare effetti controproducenti: aumento delle tensioni, ritorno del protezionismo e crisi del sistema multilaterale. Bisogna però considerare che i dazi possono indurre alcuni stati a correggere politiche economiche che rischiano di avere effetti distorsivi sul sistema economico mondiale. Questo è il caso della Cina la cui proiezione esterna in termini di esport genera problemi al sistema economico mondiale, cosi come anche il saldo positivo nella bilancia commerciale dell’Europa con gli Usa.
Per evitare la deriva verso un mondo frammentato e conflittuale, sarà necessario ristabilire un equilibrio tra interessi strategici e cooperazione internazionale, tra sicurezza e apertura, tra potere e regole condivise.